Ancora sul nofollow

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Faccio prima una piccola premessa per i lettori meno esperti: circa verso la fine del 2004 (se non ricordo male) è stato introdotto l’attributo “rel” del tag “<a>”. Questo attributo, se valorizzato come “nofolow”, indica agli spider dei motori di ricerca di non seguire quel determinato link.

Da allora molte sono state le discussioni che si sono sviluppate su questo elemento: si è spesso affermato che la presenza del “nofollow” possa essere interpretato dai motori di ricerca come un indice di spam (del tipo: perché linki una risorsa e poi mi dici di non seguirla?), oppure che gli spider dei motori di ricerca seguono lo stesso i link (teoria supportata dai file di log), ma poi questi ultimi non vengono comunque considerati ai fini del calcolo del pagerank (semplificando il valore del pagerank di un documento web è dato dal rapporto tra i link in entrata che questo riceve e il numero di link presenti sul documento stesso).

Personalmente non nutro molta simpatia per il nofollow, ma non voglio entrare nel merito di questa discussione.

Oggi, però, consultando il pannello che Google fornisce ai webmaster, ho notato che non solo il noto motore di ricerca registra comunque tutti i link che presentano il nofollow, ma sembra(e sottolineo SEMBRA) che consideri le inclusioni mediante frame come link.


Come potete notare dallo screenshot, nel report relativo ai link in entrata che Google ha rilevato in rete al sito di Sembox, ci sono anche i link di segnalo.alice.it (il quale notoriamente utilizza l’attributo rel=nofollow).

Fin qui “diciamo” niente di strano, se non fosse che segnalo.alice non utilizza comunque link diretti,
ma adotta due differenti soluzioni:

  1. linka o ad una pagina interna che poi richiama, mediante un frame, il sito in questione (http://segnalo.alice.it/f.php?us=e6f062459540eb0663c35aebb81c8c49)
  2. Utilizza un dominio di proxy http://www.miosito.it.nyud.net:8090/

Mah, sta a vedere che per la link popularity non contano più solo i link diretti! :-)

Come ti imbroglio il web 2.0

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Anche lo spam diventa 2.0

Ormai è da un bel po’ che si fa un gran parlare dei vantaggi e delle favolose caratteristiche del web 2.0, anche io al SES ho avuto parole di elogio per l’interattività e il valore aggiunto apportato dai contenuti inseriti dagli utenti (a proposito: qui potete scaricare le slide del mio intervento).

Oggi, però, ho deciso di scrivere un post provocatorio sui, possibili, nuovi modi di spam insiti nelle principali caratteristiche delle piattaforme di social network e di blog.
Per farlo, però, ho bisogno di fare un piccolo schema riassuntivo dei fattori che andrò ad analizzare:

  • I link hanno sempre più importanza.
  • Il tipo di comunicazione informale e l’interattività che caratterizzano i blog, favoriscono il fenomeno dei link spontanei.
  • Grazie alla facilità e alla immediatezza delle piattaforme di Blog, anche chi non ha nessuna nozione di l’html, può gestire un sito web.
  • La possibilità data agli utenti di inserire facilmente contenuti sul web ha dato vita a una mole di informazioni costantemente aggiornata.
  • I siti che ospitano informazioni interessanti o che si “prestano al commento”, acquisiscono facilmente visibilità.
  • Nel SEO, i fattori on site, hanno perso di rilevanza a favore dei fattori off site(in particolare la link popularity).

Ok, poste queste premesse, proviamo a immaginare quale forma di spam sia ora possibile:

  • Keyword density: nemmeno a parlarne, si dice che gli algoritmi dei motori di ricerca abbiano fatto un grande passo in avanti nella semantica e nell’analisi dei contenuti.
  • Keyword stuffing: peggio che andar di notte.
  • Directory e network di siti: ma non scherziamo, i motori non danno più peso alle directory, in più costruito fantastici tool e acquisito piattaforme per studiare il comportamento degli utenti e individuare i “link autentici”
  • Redirect in javascript e testo nascosto ormai non sono più nemmeno degni di nota.

Ma allora che fare ?!?! Dovremmo forse costruire una pagina “PIA” in cui dare consigli e dritte agli utenti, e poi magari linkare questa pagina con un bell’article marketing, in modo da generare link spontanei al nostro contenuto?
Oppure dovremmo immaginarci un’azione di viral marketing che generi rumor (e quindi link) sul nostro progetto?
Oppure dobbiamo distribuire gratis i nostri contenuti, mediante RSS, in modo che tanti webmasterini in cerca di contenuti da pubblicare, includano il nostro feed (e i nostri link) sui loro siti?
Ma non è che per caso dobbiamo costruirci dei bookmarks con dei link “interessanti” e poi “segnalarli” ai motori di ricerca?
Ma siamo sicuri che affidare al comportamento degli utenti e ai link, la valutazione dei nostri contenuti sia un passo in avanti?
In fondo l’essere umano è sempre stato bravo a manipolare i suoi simili, vuoi che non riusciamo a inventarci metodi per veicolare la navigazione degli utenti?
Ma poi: siamo sicuri che attribuire tanta importanza a una piccola fetta di popolazione che gestisce siti, e quindi può inserire link ad altri domini, sia giusto per determinare la rilevanza di un’informazione?
Vabbè, questa sera mi è presa così: spero comunque di aver fornito dei piccoli spunti di riflessione :-)

Anticipazioni sul Search Engine Strategies

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Come l’anno scorso, anche quest’anno avrò l’onore di partecipare come relatore a una sessione del Search Engine Strategies che si terrà il 29 e 30 Maggio a Milano.

Seguendo l’esempio di Simone, che insieme a me e ad Alessio, sarà uno degli speaker della sessione denominata “RSS, Blogs & Search Marketing”, ho deciso di fornire delle piccole anticipazioni sui temi che toccherò durante il mio intervento.

La mia presentazione riguarderà essenzialmente l’analisi delle diverse tipologie di “visibilità” sui motori di ricerca, sviluppatesi nel web 2.0 (anzi dopo aver letto/sentito l’articolo di Johnnie, direi create dagli “utenti 2.0”) e le differenti modalità di profilazione permesse dai feed RSS.
A mio avviso, infatti, la maggiore propensione degli utenti a partecipare attivamente alla creazione di contenuti sul web, ha dato vita ad una massa “importante” di informazioni, che le aziende non possono controllare, ma che, loro malgrado, le vede spesso protagoniste.

Il SEO che, fino a non molto tempo fa, aveva come obiettivo principale quello di massimizzare la visibilità del sito cliente per le keyword inerenti il business nel quale quest’ultimo operava, ora non può prescindere dal:

  • “Curare” la visibilità del cliente anche su piattaforme esterne
  • Dar vita ad azioni che generino un rumor positivo nel web

Insomma, forse si è finalmente abbandonato il SEP (Search Engine Positioning) per passare al SEO (Search Engine Optimization).

Non posso dilungarmi oltre, anche perché altrimenti al SES non avrei più niente da dire :-)

Naturalmente sono ben accetti consigli e suggerimenti su argomenti, inerenti questa tematica, che vorreste fossero approfonditi meglio.

Paola invece parteciperà al forum sul keyword advertising, una sessione che ha l’obiettivo di intavolare una discussione ricca di spunti e approfondimenti sul mercato dell’advertising.

Temporary Shop

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Domenica scorsa, passeggiando per Milano, mi sono imbattuto in una bizzarra e, a mio parere, bellissima iniziativa di marketing: “il temporary shop”!
Ossia un punto di vendita fisico, di un noto brand, aperto solo per un mese.


Bellissimo anche il quadrante in vetrina riportante la scritta:
“siamo aperti ancora per 8 giorni…”
Devo dire che,lavorando nell’on line, sono abituato a vedere campagne di advertising della durata di pochi mesi o addirittura pochi giorni, aventi lo scopo di promuovere il lancio di un determinato prodotto, o di aumentare la visibilità di un brand in “momenti caldi” del mercato, però non pensavo che questa logica fosse applicabile addirittura all’apertura di un punto di vendita fisico.

Naturalmente, curioso come sono, anzi come lo è Paola (eravamo in giro insieme alla ricerca di un regalo per un nostro amico) siamo entrati nel negozio per chiedere ulteriori spiegazioni dell’iniziativa, e indovinate cosa ci ha risposto il responsabile del punto vendita? Semplice:”lo abbiamo fatto per tutti quelli che come voi sono entrati a chiederci spiegazioni”! :-)

Il negozio, oltre alla prova gratuita di prodotti appena lanciati sul mercato italiano, propone una serie di simpatici servizi come: taglio dei capelli (gratuito) per uomo, sedute di massaggi e, manco a dirlo, aperitivi serali.

Davvero complimenti a Nivea per l’iniziativa!
(N.B. ho esposto il marchio del brand perché, sicuramente, non posso essere accusato di pubblicità occulta: vi assicuro che l’azienda in questione PURTROPPO non è mia cliente :-) )

Community per difendere la reputazione

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Con la nascita e lo sviluppo delle piattaforme di blog e dei social network, le “discussioni spontanee” focalizzate sui prodotti o sulle aziende, sono diventate davvero numerose.

Non di rado accade, che per ricerche legate ai brand, si ritrovino, nella prima pagina dei risultati dei motori di ricerca, discussioni nate sulle piattaforme di social network, incentrate sul comportamento e/o sui prodotti offerti da una determinata azienda.

Naturalmente i pareri espressi dagli utenti nel corso delle discussioni, possono essere sia positivi che negativi.

Spesso accade che per un malinteso, o perché si ha interesse a diffamare un’azienda e/o competitor, pochi interventi negativi, riescano a influenzare intere discussioni, screditando, non poco, le società coinvolte.

Per controllare questo fenomeno le agenzie di web marketing, almeno alcune di loro, hanno iniziato a fornire servizi di monitoraggio della reputazione on line, intervenendo (o segnalando a chi di dovere di farlo) quando è opportuno, per chiarire delle incomprensioni.

Ragionando sui vantaggi generabili dalle community, mi sono reso conto che, forse, il modo migliore per assicurarsi un accurato servizio di monitoraggio della reputazione sul web, è la creazione di una community on line attorno al proprio brand.

Questa mia affermazione si basa su due punti principali:

  1. I membri di una community, per le leggi sociali che regolano i gruppi, sono spinti a difendersi sempre da attacchi provenienti dall’esterno.
  2. Gli utenti che prendono parte a forme di community on line sono, idealmente, anche utenti molto attivi nelle piattaforme di social network e di blog.

Quindi, tirando le somme di questo discorso, e, estremizzandolo un po’, possiamo affermare che investire nella creazione di una community on line rappresenta un valido metodo per assicurarsi una buon monitoraggio della reputazione sul web.

N.B. naturalmente partendo dall’assunto che i servizi e i prodotti offerti siano di ottima qualità! :-)

L’evoluzione dei ricavi dei motori di ricerca

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Il keyword advertising è stato pensato inizialmente come strumento per monetizzare le ricerche di un crescente bacino di utenti che, attraverso le parole chiave, cerca articoli di interesse sui motori di ricerca. Le potenzialità di rivolgersi ad utenti fortemente motivati ed impegnati in un processo attivo di ricerca diventa subito palese e il keyword advertising si evolve velocemente, con pannelli di controllo sempre più funzionali, organizzati per caricare campagne rapidamente e monitorare il ritorno economico dell’attività.

Dal search al contextual advertising
La seconda fase è stata l’estensione di questa remunerativa forma di advertising al circuito di contenuto dove la contestualizzazione degli annunci di testo rispetto ai contenuti del sito ospite diventa un fattore critico di successo, rivolgendosi ad utenti che sono esposti ad annunci di contenuto affine al sito visitato.
Il business del circuito di contenuti cresce velocemente e anche i pannelli di gestione dei motori di ricerca diventano sempre più sofisticati, anche se poco trasparenti, per la gestione del contextual advertising. Nasce poi la possibilità di separare completamente le campagne, diversificare il bid sui due circuiti, monitorare in modo distinto i rendimenti delle parole chiave. Anche la nuova piattaforma Panama di Yahoo! non lascia dubbi sulla volontà di gestire questi due canali in modo sempre più separato fornendo funzionalità addizionali sul canale di contenuto.
Con il successo dei circuiti di contenuto, sostenuto anche dall’inesauribile pressione dei motori di ricerca per favorirne la vendita, nascono altre forme di advertising come il site targerting che consente la selezione precisa dei siti a fronte di un modello di pricing a CPM, si introducono gli annunci illustrati (o banner per la vecchia scuola), si comincia a parlare di profilazione del target.
Si delinea così il passaggio da un’utenza le cui preferenze sono legate solo alle parole chiave ricercate, ad una vera e propria intenzione di profilare il target secondo il meccanismi della pubblicità tradizionale, per profilo demografico, età e sesso. Il pionere della profilazione per il search advertisng è MSN, che con il suo Ad Center si propone di integrare il meccanismo della ricerca con quello della profilazione utenti. Ora sembra proprio che anche Google si stia muovendo nella direzione del behavioral targeting per unire la contestualizzazione dei suoi annunci alla capacità di rivolgersi ad utenti in target. Per capirci, meglio evitare di proporre un viaggio ai Caraibi su un sito, che pur trattando di viaggi, si rivolge a giovanissimi che si muovono con tenda e sacco a pelo.

Dagli inserzionisti agli editori
Mentre crescono le opzioni di advertising per gli inserzionisti, gli annunci sponsorizzati tappezzano in modo sempre più rilevante una buona fetta dell’universo internet, assicurando ricavi interessanti ai siti editori e affermandosi come un’importante fonte di entrate per la raccolta pubblicitaria che può essere gestita facilmente, con un unico interlocutore e con una copertura costante di tutti gli spazi disponibili.
Visto lo scenario, mi pare che la scelta dei motori di ricerca di acquisire piattaforme per la gestione degli spazi pubblicitari, vedi DoubleClick e Right Media vada proprio in questa direzione proponendo un sistema per gestire in modo sempre più accurato, integrato e remunerativo gli spazi pubblicitari.
Personalmente vedo uno scenario nello sviluppo di queste piattaforme che tenga conto in primis del meccanismo ad asta tipico dei motori di ricerca (dove gli editori potranno avere un ricavo più elevato per posizioni più visibili all’interno di un sito), un’integrazione che sfrutti al meglio la combinazione di link sponsorizzati e spazi gestiti in autonomia dagli editori e una miglior targetizzazione fatta di contestualizzazione e affinità di target.
In ogni caso l’evoluzione sarà rapidissima quindi lo scenario non tarderà a delinearsi.

Johnnie va a 980km

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Sono appena venuto a conoscenza, da Simone, della nascita di un nuovo blog dal payoff promettente: “smart web marketing“.
Belle le premesse fatte da Johnnie:

….posso spingermi a scrivere dei post “più sperimentali” (in effetti chi aveva mai sentito parlare di “smart web marketing”?). Associare l’intelligenza al marketing potrebbe risultare cosa ovvia, eppure non è così, o meglio: io penso non lo sia.

Si vede che avrò un altro feed da aggiugere al mio aggregatore :-)

In bocca al lupo Johnnie! (anche se ti meriti una grossa tirata d’orecchie: ma tu dimmi se devo venire a sapere da Simone che apri un blog tutto tuo! :-) )

Il tag come soluzione di marketing personalizzato

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Amazon.com, noto pioniere di iniziative di marketing, è stata una delle prime aziende a utilizzare il meccanismo dei tag come classificazione personalizzata dei prodotti. In pratica gli utenti possono attribuire un tag, cioè un’etichetta costituita da una parola chiave, ad ogni prodotto, indipendentemente dal fatto che si sia effettuato un acquisto. Un tag rappresenta quindi un modo estremamente personale di classificare articoli di proprio interesse, decidendo poi se si desidera condividere la propria etichetta/classificazione con gli altri utenti.
Il meccanismo mi sembra molto utile non solo per gli utenti, in grado di creare dei veri e propri scaffali virtuali con articoli di proprio interesse ma anche per tutti coloro che possono ricercare prodotti attraverso i tag altrui e trovare modalità interessanti, originali e magari affini per scoprire articoli.
Passando ora al versante marketing, ho riflettuto sulle opportunità che un’azienda può trarre da questo meccanismo. Si pensi ad esempio, a un’azienda che vende online articoli da regalo come RedEnvelope , un sito americano che ho sempre trovato interessante non solo per le idee proposte ma anche per l’attenzione rivolta ai propri utenti che possono condividere il loro calendario di ricorrenze importanti, anniversari, compleanni, ecc. e ricevere un piccolo reminder con tante idee regalo per l’occasione. Oltre ad evitare numerosi litigi familiari, uno dei punti forti di RedEnvelope è stata la sua capacità di classificare in vari modi le idee regalo in modo da facilitarne la ricerca: per ricorrenza, per destinatario, per categoria merceologica, per interessi ecc.
Ecco un caso lampante di come l’attribuzione di un’etichetta potrebbe facilitare la classificazione degli articoli fornendo agli utenti la possibilità di ordinare in modo personalizzato le possibili idee per un regalo, ad esempio con il nome di un familiare o un’occasione speciale.
Che dire a questo punto dei famosi reminder? Si potrebbe pensare ad esempio ad una mail personalizzata per l’anniversario che presenta prodotti che l’utente ha già classificato con un tag riconducibile a quella ricorrenza.
Un approccio esclusivo e su misura per l’utente, che ne pensate?

Link exchange Vs Google

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La storia infinita!

Scusatemi, ma dopo le ultime dichiarazioni di Matt Cutts sullo scambio e la compravendita dei link, e sul relativo strumento messo a punto da Google per permettere la segnalazione dei siti che offrono link in vendita(strumento sul quale ho già espresso la mia opinione), non ho potuto resistere alla tentazione di condividere con voi questo annuncio adsense che ho trovato sul searchenginejournal


P.S. il post non vuole pubblicizzare assolutamente l’azienda in questione, è solo che la situazione mi è sembrata davvero divertente :-)

Alerts AdWords disponibili via SMS

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Google ha recentemente attivato un nuovo sistema di alert per comunicare tramite SMS interventi urgenti da effettuare sulle campagne AdWords.
Cito Google: “Abilitando la ricezione degli avvisi con l’apposita procedura di registrazione, puoi ricevere SMS di avviso in merito a questioni importanti correlate all’account, ad esempio problemi di pagamento, date di fine budget e scadenze di carte di credito.”
Una comunicazione rapida e efficace tramite il mezzo mobile che gli inserzionisti portano sempre con sé, in modo da intervenire tempestivamente sull’account e non rimanere mai a secco di budget:-)