Giuro sul mondo 2.0 ormai pensavo di averle sentite tutte, però questa singolare “interpretazione” mi piace davvero molto!!!
Bellissima l’idea di questo tifoso di riprendersi, nel salotto di casa sua, mentre esprime le sue considerazioni sul campionato del Napoli. Insomma Youtube può diventare davvero un “Grande Fratello”, per le persone che hanno un po’ di spirito di iniziativa e di fantasia. Il buon JoedeFlaviis a quanto vedo ha una media di 1000/1500 visualizzazioni per video, chissà che prima o poi non venga assunto da un’emittente locale
N.B colgo l’occasione per augurare a tutti un Buon Natale e un felice nuovo anno
In questi giorni si fa un gran parlare circa le ultime rivelazioni, fatte dal buon Matt Cutts, inerenti il diverso trattamento che fino a oggi Google ha riservato alle cartelle di un sito, piuttosto che ai terzi livelli dello stesso. La novità, almeno quella che emerge dalle notizie che si susseguono in questi giorni, consisterebbe nella decisione, da parte del noto motore di ricerca, di considerare da ora in poi sia i terzi livelli che le cartelle di un sito, nello stesso modo. Questo significa, dette in parole povere, che i molti siti che hanno utilizzato più sottodomini, per coprire le stesse keyword allo scopo di affollare le SERP dei motori di ricerca (vedi Vivastreet, Kijiji, ecc) da ora in poi non occuperanno più di due risultati (uno indentato all’altro) per pagina. Fin qui niente da ridire, però mi chiedevo quali effetti avrà questo “accorpamento” sui siti che hanno dei terzi livelli bannati. Fino a poco tempo fa, per quanto nessuno lo voglia ammettere, molto delle attività SEO consistevano nel farsi creare dei terzi livelli dai proprio clienti, per poi produrre n. doorway pages che redirezionavano in automatico sul dominio principale. Nonostante siano stati bannati da tempo, on line esiste un vero e proprio cimitero di domini di terzi livelli, appartenenti anche a grandi società, caduti nel dimenticatoio delle agenzie SEO di turno. Se fino ad ora questo non ha creato nessun problema, perché un dominio di terzo livello era trattato come dominio a se stante, ora cosa succederà? Vediamo i vari scenari:
I terzi livelli bannati sono ormai esclusi dall’indice di Google (anche se comunque, da qualche parte, sono ancora presenti nel suo database ) e quindi non avranno alcuna influenza in questa fase.
I terzi livelli bannati verranno considerati come cartelle del sito, ma questo non provocherà nessuna penalizzazione dello stesso (diciamo che il concetto di terzo livello bannato verrà sostituito dal concetto di cartella bannata)
I terzi livelli bannati verranno considerati come cartelle del sito e questo provocherà una seria penalizzazione per il dominio principale!?!?!
Mah, chi vivrà vedrà, nel frattempo io consiglierei di eliminare tutte le doorway dimenticate on line e di effettuare la richiesta di reinclusione dei sottodomini
Lo sapevo, ero sicuro che sarebbe successo: come sempre i pionieri di un settore, in particolare nel nostro campo, si rivelano essere gli operatori legati ai numeri a pagamento.
Così come per il web marketing e in particolare per il SEO (i vecchi come me se ne ricorderanno ) i veri primi esperimenti e investimenti arrivarono essenzialmente da aziende legate al mondo dei dialer e dei numeri a pagamento, sembra che la stesso fenomeno si stia verificando con il “mobile marketing”.
Oggi (che emozione ) ho ricevuto il mio primo messaggio di spam mobile:”Messaggio per te! Un amico ti ha invitato su ……. (copro il nome, perché non mi piace fare attacchi personali) . Chiama da telefono fisso 89-970-20-96 e ascolta la voce registrata. Info e costi del servizio su www…………tv”
Ma che bello!!! Certo non possiamo dire che il buon Giambattista Vico non avesse ragione sui corsi e ricorsi storici
La cosa che mi ha fatto divertire di più, è la riesumazione di una vecchia tecnica, (che avevo già esposto in questo blog, e che aveva fatto raddoppiare le conversioni a un mio “caro” amico) che consiste nel presentare il numero 899 come 89-9.
Speriamo nel frattempo che i destinatari del messaggio si siano trasformati da “utenti 1.0″ a “utenti 2.0″
Le opinioni sull’efficacia dei banner in una campagna di web advertising sono sempre controverse: c’è chi pensa che questa forma di pubblicità sia praticamente inutile e superata, chi la ritiene efficace in strategie di brand awareness, chi invece crede che i banner possano avere valore anche in azioni di direct response. Lo scenario che mi pare si stia delineando nel mondo del display advertising e dei banner in particolare è quello di una divisione sempre più netta tra l’utilizzo del banner come strumento di branding, quindi con creatività d’impatto su canali molto mirati, con target specifico e acquistati a CPM elevati e un impiego del banner advertising con una logica totalmente opposta ossia attraverso network di advertising che offrono spazi su siti che spesso non vengono resi noti, un CPM o CPC generalmente basso e un monitoraggio accurato delle performance a livello di CTR e tasso di conversione. Un esempio del primo tipo potrebbe essere rappresentato da alcuni prestigiosi siti di informazione finanziaria rivolti a target di alto profilo, spesso business, con elevati livelli di istruzione e capacità di acquisto, scelti come canali di esposizione privilegiati per beni e servizi specifici. Un esempio invece dell’advertising performance based può essere rappresentato da circuiti come Oridian, Drive PM del gruppo Atlas, Blue Lithium del gruppo Yahoo e per certi aspetti anche lo stesso site targeting di Google. Con questa tipologia di advertising gli inserzionisti non sanno quali sono i siti dove la campagna sarà visualizzata o in alcuni casi conoscono i siti ma non le posizioni e le sezioni specifiche, hanno un tetto massimo di CPM o CPC di acquisto generalmente molto conveniente, possono impostare un obiettivo di click o anche di conversioni a cui tendere nel corso della campagna con azioni di ottimizzazione che vanno a scremare i siti meno perfomanti a favore di quelli con maggiore resa. E’ evidente che questa seconda tipologia di advertising si presta particolarmente per tutte quelle aziende performance based per le quali è importante raggiungere risultati indipendentemente dai siti e dal target a cui ci si espone. In definitiva siamo di fronte a un bivio: da una grandi network con enormi bacini di traffico a poco prezzo e sofisticate piattaforme di monitoraggio ed ottimizzazione automatica, dall’altra pochi siti prestigiosi da pagare a caro prezzo. Che cosa succede a tutta la fascia di siti intermedi dello scenario web? Venderanno il proprio inventory a network sempre più grandi e potenti o ci sarà un maggior sforzo per raggiungere un posizionamento e una maggior qualità dei contenuti?
Tempo fa, quasi gli inizi del blog, avevo già scritto circa l’importanza dei call center, e di come questi potessero diventare importanti, in particolare con l’arrivo del mobile marketing (scusate mi è partito il link ).
In Italia da sempre abbiamo sottovalutato l’importanza di questo mezzo, spesso non fornendo adeguata formazione alle persone a esso dedicate.
In effetti mi sono sempre chiesto in quale misura un call center potesse migliorare le conversioni provenienti dal web, e quali misure fosse possibile adottare per rendere il più possibile simile o meglio continuativo, l’esperienza di un utente che si interfaccia prima con il nostro sito (landing pages studiate ad hoc fin nel più minimo particolare) e poi con una persona del call center. In qualche modo, cioè, le persone dedicate al call center, dovrebbero rappresentare la versione umana del nostro sito, e viceversa.
A tal proposito, questa mattina sono rimasto molto colpito dall’affermazione di un mio cliente, il quale mi ha confessato che, da quando ha deciso di assegnare agli operatori del call center, un bonus di 2 euro per ogni booking generato, ha praticamente raddoppiato le conversioni.
Nooo, non pensate a male, questa non vuole assolutamente una frecciatina contro chi imputa il basso tasso di conversioni del suo sito, alle sole attività di web marketing!
P.S. un grazie a Maurizio che mi ha permesso di pubblicare questo episodio che ha riguardato la sua azienda.
Come tutto il mondo SEO ormai saprà, nell’ultimo periodo, molti siti anche importanti, hanno subito notevoli abbassamenti di PageRank. Nel mirino di questa operazione, almeno così sembra, come afferma lo stesso Matt Cutts, sono finiti in particolare i siti rei di aver venduto link a pagamento (sul come faccia poi Google a individuare i link a pagamento, ci si potrebbe scrivere su un trattato…). Oltre ai molti portali e blog famosi, in Italia ce ne sono stati alcuni di illustri, sembra che siano stati penalizzati in particolar modo i siti di Comunicati stampa e di Article marketing. Volendo cercare delle caratteristiche che accomunano tutti i siti che hanno visto calare il loro valore di pagerank, possiamo individuare due fattori principali:
Tutti sono caratterizzati dalla presenza di molti link esterni, anche se non necessariamente a pagamento (almeno a detta dei diretti proprietari)
L’abbassamento del PR non si è rispecchiato, sempre a detta dei diretti interessati, in un calo di visibilità nei motori di ricerca.
Dando per veritieri i suddetti fattori, l’opinione che mi sono fatto è che gli analisti di Google, non abbiano voluto penalizzare i siti che “vendono” link, o che permettono comunque facilmente l’inserimento di link esterni (forum, comunicati stampa, ecc.), ma solo togliere loro il potere di influenzare il funzionamento dell’algoritmo del motori di ricerca. I link, e la link popularity, infatti ad oggi rappresenta la tecnica più potente per spingere un sito su Google, la logica di base, che non era poi molto sbagliata, è che più una risorsa è linkata da altri siti, più essa è valida. L’applicazione di questo concetto, si è però dimostrata più difficile di quanto si pensasse: fenomeni come il google bombing, hanno dimostrato che l’algoritmo di Google, mediante i link, è altamente influenzabile manualmente dagli essere umani (o SEO che dir si voglia ). Insomma come al solito: fatta la legge, trovato l’inganno. Appena ci siamo accorti che i link potevano influenzare la visibilità nei motori di ricerca, sono nate 150.00000 directory free. Poi appena Google ha dato meno peso alle directory, siamo tutti diventati “giornalisti”, grazie anche alle 300.000 piattaforme di article marketing che si sono sviluppate. Ora siamo semplicemente allo step 3: Google si è reso conto che abbiamo nuovamente trovato un modo di ottenere link facilmente, e corre ai ripari. Certo le piattaforme di article marketing, i forum, ecc, a differenza delle directory, non presentano solo link, ma anche moltissimo testo da indicizzare e una frequenza di aggiornamento molto alta (cose che piacciono tantissimo a Google), quindi penalizzarle significava anche rendere meno visibile una bella massa di informazioni. A questo punto gli analisti di Google possono aver agito nel seguente modo (e questa è la mia teoria):
Individuare i siti caratterizzati da molti link in uscita, ma anche molti contenuti.
Togliere loro la possibilità di influenzare il posizionamento di altri siti, mediante l’abbassamento del valore del pagerank.
Continuare comunque a includere questi siti, data la loro mole di contenuti, nei risultati dei motori di ricerca.
Non credo quindi, come molti hanno affermato, che Google abbia voluto dare un “avvertimento” a questi siti (come sostengono in molti), dandogli modo di correre ai ripari, ma solo privarli (o quanto meno limitarli) del potere di influenzare il posizionamento degli altri siti.
Spesso, sempre più spesso (aggiungerei per fortuna), mi sento rivolgere la stessa domanda: come dovrebbe essere costruito un sito per far si che questo si posizioni nei motori di ricerca? Sinceramente, soprattutto da un po’ di tempo a questa parte, rispondere con completezza a questa domanda è diventato davvero un‘impresa proibitiva, sia perché è difficile spiegare a uno sviluppatore, che il suo neonato super funzionale sito web, che, grazie alle “nuove” tecnologie (ajax, flash/xml, ecc) è capace di farti anche il caffè, verrà, molto probabilmente, considerato dai motori di ricerca come “inferiore” a un sito costruito 15 anni fa con frontpage, sia perché ci siamo davvero impegnati a costruire un vocabolario tecnico che fa concorrenza a quello degli ingegneri: link popularity, anchor text, add url, spider, Keyword stuffing, espansione della keyword, ban, doorway pages, e chi più ne ha più ne metta. Per evitare quindi di iniziare questa impresa apocalittica, e per condividere, comunque, delle informazioni utili con il mio interlocutore, preferisco rispondere capovolgendo la domanda, trasformandola cioè in: come non deve essere fatto un sito. Nel dettaglio, molto sommariamente, un sito non deve:
Essere costruito mediante frame
Presentare delle url kilometriche, oppure url caratterizzate dalla presenza di nomi talmente fantasiosi, la cui interpretazione risulta ostica persino al proprio inventore (questo sia ai fini di chi si trova a dover interpretare delle statistiche che per i motori di ricerca)
Linkare unicamente le pagine mediante menù in flash o javascript. Dico unicamente, perché se proprio vogliamo avere un menù dagli effetti stratosferici, possiamo comunque contemplare l’idea di avere un menù testuale in html nel footer della pagina.
Veicolare le informazioni principali unicamente mediate l’utilizzo di immagini o di flash. In pratica dobbiamo sempre ricordarci che i motori di ricerca accedono solo alle informazioni testuali delle pagine.
Essere sviluppato su una sola pagina: questo direi è un punto fondamentale, molte volte ho visto interi portali sviluppati su una sola pagina (siti che funzionano unicamente mediante informazioni salvate in variabili di sessione e cookie, oppure siti sviluppati come unico filmato flash). Presentare tutti i contenuti sotto la stessa url, non solo rende il sito inaccessibile ai motori di ricerca, ma toglie anche la possibilità, a chi si occupa di promuoverlo, di definire delle pagine di atterraggio diverse, a seconda dei prodotti/servizi che si vogliono pubblicizzare, rendendo, di fatto, il sito inappropriato a qualsiasi azione di web marketing.
Prevedere che la navigazione inizi per forza dalla home page. L’errore più comune, almeno dei “vecchi progettisti web”, è pensare che l’interazione con il sito inizi sempre partendo dalla home page. L’utente può raggiungere il sito in molteplici modi (blog, motori di ricerca, social network, banner, ecc) e atterrare sulle pagine più impensabili. Quindi tutte le pagine del sito devono:
Permettere di raggiungere velocemente le sezioni principali del sito.
Contenere almeno una minima informazione sull’azienda/ ente titolare del sito.
Essere “geloso” dei propri contenuti: molti siti, infatti, sono costruiti in moto tale che molte informazioni siano raggiungibili solo mediante l’utilizzo di motori di ricerca in terni al sito.
Vi assicuro che se i siti fossero già costruiti rispettando questi punti, il lavoro del seo sarebbe molto ma molto più semplice.
Ormai si parla da tempo delle penalizzazioni subite da alcuni siti che ospitano link a pagamento, a tal riguardo ho sentito e letto davvero troppe opinioni, tra l’altro devo dire tutte più o meno uguali tra loro. Devo dire che di questo mondo ho sempre odiato quelli che chiamo i “falsi etici”, cioè le persone (davvero tante, specialmente nelle community e nei forum del settore) che sostengono che comprare un link, oppure adottare una tecnica border line non sia etico nei confronti del web e soprattutto nei confronti di Google! Sarà che, come molti affermano, sto diventando troppo cinico e pratico, però credo davvero che le cose non “etiche” siano altre, e differiscano di molto dal seguire o meno alla lettera i dettami forniti da un’ azienda quotata in borsa. Non sto difendendo a spada tratta le tecniche black hat e ne tanto meno promuovendo la compravendita dei link, dico soltato che le motivazioni mosse non mi sembrano davvero molto sensate. Un giorno vorrei accendere il PC e leggere che:
I seo sconsigliano la compravendita dei link, perché lega i posizionamenti nei risultati naturali dei motori di ricerca, a delle spese fisse e periodiche, rendendo pertanto il SEO del tutto simile al keyword advertising. Il vantaggio del posizionamento naturale è invece proprio quello di abbassare costantemente nel tempo i costi di acquisizione di nuovi clienti, rendendo il SEO, in un’ottica di lungo periodo, più conveniente di molte altre forme di advertising.
I seo sono contro le tecniche border line, perché queste ultime lasciano il tempo che trovano, ossia se pur possono produrre in minor tempo dei vantaggi, appena scoperte causano la penalizzazione dei siti, e quindi arrecano un danno al sito cliente. Anche in questo caso la caratteristica principale del SEO, ossia essere particolarmente vantaggioso nel lungo periodo, viene meno.
Le tecniche border line sono poco etiche solo quando vengono utilizzate per posizionare un sito dai contenuti poco leciti (gioco d’azzardo, porno, ecc), per termini di uso comune e non inerenti i settori sopraccitati, e non perché forzano il funzionamento di un algoritmo di un motore di ricerca. Scusatemi ma non sono convinto che produrre una doorway incentrata su “porte blindate” per promuovere un’azienda che produce porte blindate sia “poco lecito”.
I seo non si lamentano più perchè nei loro posizionamenti sono stati superati da siti che utilizzano tecniche border-line, ma si chiedono come mai questo è potuto succedere, dove hanno sbagliato, e cosa possono migliorare per far in modo che questo non succeda più. Cari “SEO”, se lavorate da 1 anno su un sito, e venite superati da una doorway pages significa che non avete lavorato bene! Avete creato una buona link popularity per il vostro sito? Avete curato la navigazione dell’utente sul vostro sito? Avete eliminato tutte le barriere che impediscono allo spider di navigare il sito? Avete dato agli spider dei contenuti da indicizzare, oppure credete che il vostro sito si debba posizionare solo perchè è il vostro sito? Se la risposta a tutte queste domande è si, state sicuri che non verrete mai superati da una doorway pages, e nel caso ciò avvenisse non dovete far altro che analizzare il perchè è avvenuto, e complimentarvi con chi vi ha superato.
La differenza fondamentale tra il search marketing e il display advertising, è che il primo si rivolge agli utenti nel momento in cui questi esprimono, mediante una stringa di ricerca, un determinato bisogno. Il secondo, se implementato bene, permette di acquisire visibilità presso un determinato target. Per esempio: essere presenti in Google per “voli vienna”, ci assicura visibilità presso un utente che in quel momento è interessato a un volo per Vienna, mentre avere un banner su un portale di viaggi (es: Turistipercaso.it), ci permette di avere visibilità presso un utente potenzialmente interessato ai voli. Chiaro, tutti e due i tipi di visibilità sono molto importanti, sia in logica di acquisizione di nuovi clienti, che di notorietà del brand, a questo punto mi chiedo: e se facessimo display advertising con i motori di ricerca? Mi spiego meglio: ipotizziamo che io gestisca il posizionamento di un cinema a Milano, oltre a posizionarmi per termini come “cinema Milano”, “sale cinematografiche Milano”, “cinema in via ….”, potrei provare ad acquisire visibilità nei motori di ricerca anche per “pizzerie Milano”, “pub Milano”, etc. In questo caso renderei visibile l’attività che sto promuovendo a utenti che non sono alla ricerca di un cinema, ma che potenzialmente appartengono al target al quale si rivolge il mio cliente, senza pensare che questa “espansione della query“, potrebbe giovarmi anche nel posizionamento dei termini più incentrati sulla mia attività. Naturalmente, prima di mettermi a costruire pagine e pagine sulle “pizzerie a Milano”, potrei testare (prestando attenzione al quality rater, e quindi costruendo delle pagine in linea con le creatività) questo processo, acquistando i suddetti termini in adwords, per poi specificare nelle creatività che sto pubblicizzando un cinema. In questo modo avrei un alto numero di impression, su utenti comunque in target, e un bassa percentuale di click e quindi un investimento minimo. Qualcuno potrebbe obiettare che, così facendo, si mette in discussione la coerenza tra ricerca e risultati, ma a ben guardare, in questo modo, forniremmo agli utenti dei risultati affini, quindi utili, e non fuorvianti.
Le campagne di mobile advertising vengono spesso identificate in prima battuta con l’invio di SMS, messaggi testuali che contengono principalmente informazioni, offerte o inviti a compiere una determinata azione. Il mobile marketing però include molteplici forme di comunicazione tra cui diverse soluzioni di direct marketing e campagne di display adv sui portali mobile degli operatori telefonici, come il portale TIM, Vodafone Live, Pianeta 3, ecc.
Le forme più utilizzate di direct mobile marketing comprendono quindi oltre agli SMS, campagne MMS realizzate con immagini e testi e VMS, messaggi video che partono automaticamente all’apertura del messaggio e possono essere inoltrati generando effetti viral. Tra le soluzioni di display advertising abbiamo a disposizione una serie di formati banner, nella terminologia di settore chiamati anche grid o nowlet a seconda dei formati e della posizione, che possono essere visualizzati in home page o su pagine dei canali tematici del portale degli operatori . Cliccando sul banner si atterra su una landing page che può essere realizzata ad hoc per la campagna. Giusto per dare qualche numero, i portali mobile di alcuni principali operatori telefonici hanno circa 2/3 milioni di utenti unici al mese. Esistono poi altre soluzioni proposte solo da alcuni operatori che consistono in spot su piattaforma DVB-H e iniziative di co-brand su prodotti below the line.
Al di là dei canali e dei formati, quello che mi sembra molto interessante quando si parla di mobile marketing, è la modalità con cui queste campagne vengono integrate nel marketing mix aziendale diventando una parte rilevante della strategia di comunicazione globale e veicolando un messaggio che sostiene le azioni di brand awareness o direct response in essere. Quali sono le migliori modalità per realizzare una campagna di mobile marketing finalizzata a raccogliere lead? Come possiamo utilizzare il mobile marketing per dare continuità e forza alla comunicazione online e offline? E ancora come possiamo essere certi di raggiungere un target qualificato in linea con gli obiettivi della campagna? Come si possono misurare e ottimizzare le performance? Queste alcune delle domande che bisogna necessariamente porsi prima di avviare una campagna di mobile marketing che possa effettivamente generare risultati tramite un mezzo di comunicazione ancora abbastanza nuovo ed inesplorato. Nei prossimi post la continuazione dell’argomento…