Da molto tempo nei forum del settore, nazionali e non, sento parlare dei rischi provenienti da una eventuale sovraottimizzazione delle pagine web. Concetto che, a dir la verità, non mi sento assolutamente di condividere.
Definendo l’ottimizzazione come l’insieme di modifiche apportate ad un sistema per renderlo più compatibile possibile ad un insieme dato di vincoli e/o regole, è chiaro che questo processo attiene alla qualità di una entità e non alla quantità di elementi che essa contiene. Affermare l’esistenza della sovraottimizzazione di un sito web, sarebbe come dire che esso è troppo conforme alle regole dei MDR e pertanto viene penalizzato.
Perdonatemi, ma non ho mai sentito dire che una donna è talmente bella da sembrare brutta, oppure che un uomo è tanto alto da sembrare basso .
Se invece con sovraottimizzazione indichiamo l’utilizzo smodato di tecniche seo, tale da rendere il sistema “sospetto” ai MDR, allora qui siamo di fronte a casi di spam, di ripetizione di contenuti, di link farm, di abuso di terzi livelli, ma non certo a un esempio di “ottimizzazione eccellente”.
Numerose sono le modifiche che si possono apportare ad un sito web, al SEO professionista sta saperle mescolare sapientemente in base al tipo di progetto, al settore in cui opera, ai competitor, ai risultati che si intendono raggiungere ecc.
Se così non fosse l’ottimizzazione di un sito web si ridurrebbe alla mera applicazione di una lista di operazioni da apportare alla struttura, in modo da posizionarlo facilmente per le key relative al proprio business, ma per fortuna tutti sappiamo che non è così .
Parliamo di “SovraOttimizzazione”
Acquistare pacchetti da 2000 click
Facendo riferimento ad un post di Salvatore in cui si denunciava la mancanza di serietà delle aziende che promettono l’inserimento in “molteplici” motori di ricerca a prezzi irrisori, vorrei raccontare un episodio molto simile che riguarda il versante SEM delle strategie di visibilità sui motori.
Nel mio caso non mi è stata inviata una mail di spam che vendeva servizi di dubbia serietà ma ho ricevuto una telefonata da parte di un potenziale cliente, vittima innocente e purtroppo inconsapevole di aziende ciarlatane.
Il cliente in questione mi presenta una sua esigenza di essere visibile sui principali motori di ricerca attraverso una campagna di keyword advertising che possa favorire la vendita dei suoi prodotti.
Dopo aver riflettuto su obiettivi e contesto competitivo, abbozzo una prima ipotesi di pianificazione della campagna presentando un quadro abbastanza realistico degli investimenti necessari a sostenere una strategia complessa focalizzata sull’aumento delle vendite.
A questo punto mi sento porre la fatidica domanda: ma quanto mi costa un click? Per intenderci, quanto vi fate pagare un pacchetto da 2000 click?
Superato il primo momento di paralisi verbale, chiedo approfondimenti in merito alla sua richiesta e scopro che il malcapitato cliente aveva precedentemente acquistato un pacchetto da 2000 click, ormai quasi esaurito, e non essendo molto soddisfatto dei risultati ottenuti, stava cercando lo stesso tipo di soluzione da un’azienda diversa.
Vorrei sperare che dopo un’ora trascorsa al telefono con il mio interlocutore, sia almeno riuscita a far passare il concetto che una campagna di keyword advertising non ha nulla a che vedere con un pacchetto da 2000 click che si acquista a tariffa fissa, che il cpc non è un’entità invariabile e predeterminata in base a chissà quali criteri, che il search advertising prevede una strategia complessa e articolata soprattutto se incentrata su obiettivi di vendita.
Se non fossi riuscita nel mio intento, spero almeno di poter condividere la mia condanna verso aziende che vendono servizi di questo genere con la pretesa di raggiungere obiettivi di conversione, impoverendo gli sforzi dei consulenti che lavorano seriamente, prendendo in giro clienti ingenui e in definitiva indebolendo un mercato che cresce grazie ai risultati concreti prodotti.
Email marketing "virale"!
Quando si dice valorizzare un utente.
Mesi fa ero interessato all’acquisto di una macchina fotografica digitale, così, da bravo internettiano, iniziai ad utilizzare i vari siti di comparison shopping. Alla fine ho effettuato l’acquisto su un portale di e-commerce europeo. Da quel momento con cadenza mensile ho ricevuto email con offerte speciali relative al settore al quale mi ero dimostrato interessato.
Ieri ho deciso di recedere dalla newsletter, passaggio che si è rivelato molto semplice e veloce.
Controllando le email in arrivo, però, una gradita sorpresa mi aspettava: nella conferma della riuscita dell’operazione richiesta veniva riportato il seguente testo:
- email troppo frequenti.
- Offerte non molto interessanti.
- Troppi prodotti.
La ringraziamo per la fiducia accordataci,
E per concludere una firma scannerizzata del responsabile relazioni con la clientela(che, sarò romantico, aiuta sempre a rendere più personale la comunicazione).
Mi è sembrato di rivedere il mio professore di marketing all’università:”Ricordatevi di valorizzare sempre i vostri clienti e di monitorare sempre la loro opinione al fine di adattare i servizi erogati alle loro necessità e gusti.”
Che dire: complimenti alla società per questa lezione!
Contextual advertising: scambio di opinioni
Fino a qualche mese il network del content di Google rappresentava uno strumento assolutamente accessorio e non controllabile dagli inserzionisti, che poteva essere utilizzato per aumentare la presenza su web ma in modo abbastanza impreciso e aleatorio.
Le recenti opzioni offerte dal contextual advertising di Google offrono invece l’opportunità di scegliere non soltanto i siti ma addirittura le singole pagine sulle quali si desidera comparire con i propri annunci di testo o illustrati, fornendo un canale di comunicazione parallelo ai motori che dovrebbe generare migliori risultati sia per gli editori che per gli inserzionisti.
Google ha inoltre introdotto un sistema di bid separato tra i network di search e contenuto permettendo agli inserzionisti di monitorare la spesa destinata al contextual advertising.
A quanto pare Google è arrivato a fare queste gentili concessioni grazie alla temuta concorrenza di Yahoo! Publisher Network che offre maggiori possibilità di targeting e sarà disponibile sul mercato internazionale entro la fine dell’anno.
Rimane però il grosso limite della mancanza di trasparenza sui dati condivisi da Google che personalmente mi lascia ancora molto perplessa sull’efficacia del contextual advertising. Se poi si utilizzano gli strumenti offerti dal pannello di Google per operare una selezione di siti che dovrebbe essere in linea con gli obiettivi della campagna, si ottiene un elenco di siti che molto spesso sono di scarsa qualità, con contenuti non aggiornati, poco pertinenti e che in definitiva trasmettono un’immagine alla quale non vorremmo certo legare il brand dei nostri clienti (da notare che il branding è considerato da Google tra gli obiettivi più rilevanti di questa forma di pubblicità).
Mi piacerebbe sentire qualche opinione da chi ha avuto modo di testare questi canali, valutando i pro e i contro di una forma di comunicazione sempre più ampia e capillare ma con delle modalità, secondo me, ancora poco convincenti.
“Mi sento fortunato”
Spesso ho elogiato le scelte di marketing di Google, però questa sera voglio fare una piccola critica ad una loro scelta: la traduzione di I’m Feeling Lucky in Mi sento fortunato. Premetto che non mi ero mai posto questo problema fino a quando una mia amica, in verità non molto esperta di computer, mi ha fatto pensare sull’ambiguità di questo termine. Mi spiego meglio: dopo aver comprato il computer, la mia amica(Stefania), ha pensato bene di chiedere qualche consiglio al solito amico esperto di informatica(io ). Naturalmente uno dei miei primi consigli è stato: usa Google per effettuare le tue ricerche in internet! Dopo un po’ ricevo un’altra sua telefonata:
Stefania: ”Salvatore, ma Google non funziona!”
Io: “ in che senso scusa?”
Stefania :”se premo ‘mi sento fortunato’, non mi restituisce nulla”
Io: “ma cosa hai cercato?”
Stefania:”nulla, ho solo premuto il tasto, per vedere se ero fortunata”
Lasciando da parte le facili battute che possono essere fatte sulla mia amica, ammetterete che la dicitura “Mi sento fortunato”, può trarre in inganno, magari Stefania, da buona napoletana, si aspettava, giustamente, di ricevere i numeri da giocare al lotto!
A parte questa parentesi comica, è da un po’ che mi interrogo sulla politica di Google su questo tasto e sugli effetti dei suoi risultati: effettuando una ricerca con Mi sento fortunato, ci viene proposto direttamente il primo sito della serp, che non sempre è il più attinente con la ricerca, inoltre questo fa si che gli altri siti presenti nei primi posti dei risultati vengano totalmente esclusi all’utente.
Immaginate quali effetti potrebbe provocare in termini di investimenti e di business, se usando questa funzione, venisse proposto il sito in posizione “premium” negli adwords e non il primo sito dei risultati organici
Possibile Legame tra Overture e adwords
Come tutti sapete, la settimana scorsa Overture ha abbassato il bid minimo, portandolo da 0.15 a 0.05. Già in un precedente post avevo ipotizzato alcune conseguenze e cercato di individuare le ragioni che avessero portato il famoso network a prendere questa decisione.
Alle conseguenze già delineate vorrei aggiungere questa ulteriore considerazione: molti avranno notato che tra i risultati adwords di Google sono presenti alcuni siti che ripropongono risultati di Overture.
La logica di business adottata da questi siti è molto semplice: investendo il minimo su Google, possono sperare di ricevere un click da Overture il quale, avendo un bid minimo più alto, garantisce un guadagno maggiore della spesa sostenuta su adwords.
Questa logica potrebbe perdere di significato, ora che l’abbassamento del bid di Overture abbassa anche il guadagno minimo che i partner possono ricevere dal singolo click.
Questa azione di Overture, rivolta ad aumentare il numero di investitori, quindi, potrebbe paradossalmente ridimensionare il traffico di utenti sul network in questione.
Infatti gli amministratori di questi tipi di siti, potrebbero decidere di non investire su tutte le keyword, ma solo sulle parole che generano un guadagno per click alto, riducendo, così, di molto il traffico di visitatori.
Search Engine Strategies: l’evento di riferimento del SEM ora a Milano
Uno degli aspetti più stimolanti se pur impegnativi del mio lavoro consiste nella necessità di seguire l’evoluzione rapida e incontrollabile del Search Engine Marketing, caratterizzato dalle continue innovazioni introdotte dai motori. Nuove metodologie di gestione delle campagne, strumenti tecnologici avanzati per il controllo dei bid, canali di search marketing prossimi all’avvio, partnership strategiche annunciate giornalmente che possono influenzare significativamente le tendenze del mercato.
L’unico evento internazionale di settore in grado di fornire tutti gli aggiornamenti sul trend SEO/SEM è il Search Engine Strategies un avvenimento che include una serie di conferenze, forum e sessioni di training sugli argomenti più innovativi del settore tenuti dagli esperti a livello mondiale che hanno definito le linee guida del mercato.
Finora ho avuto la fortuna di partecipare agli eventi Search Engine Strategies di Londra e Chicago, due avvenimenti che mi hanno aperto nuove prospettive professionali dandomi l’opportunità di conoscere gli strumenti più innovativi, parlare con gli esperti di Google, Yahoo e MSN, cogliere spunti sulla crescita del settore.
L’aspetto che ritengo più interessante di questo evento è comunque la possibilità di confrontarsi personalmente con gli specialisti SEO/SEM, ascoltando le loro esperienze concrete sul campo arricchite da suggerimenti strategici su come implementare campagne di successo e addirittura l’opportunità di porre domande ad esperti del calibro di Frederick Marckini, fondatore della miliardaria agenzia iProspect e considerato il padre del SEM a livello internazionale.
La prossima primavera il Search Engine Strategies sbarcherà a Milano portando in Italia una ventata di innovazione e l’expertise degli specialisti di settore che terranno conferenze su argomenti di grande spicco. Credo che il Search Engine Strategies di Milano sia l’opportunità che molti attendono di ricevere approfondimenti e spunti innovativi sulle tendenze di un mercato in crescita esponenziale.
Tag: sesit2006
Organic search vs link sponsor
Ieri sera mi è capitato di dover spiegare, di nuovo, che lavoro svolgo. Questa volta, però, la discussione ha preso una piega inattesa, fornendomi un interessante spunto di riflessione che voglio condividere con voi.
Dopo l’introduzione di rito sui motori di ricerca e Google, ho chiesto al mio interlocutore secondo lui quale criterio venisse usato dai MDR per decidere l’ordine dei risultati nelle Serp. A questa domanda il mio amico (che da ora in avanti chiamerò Giuseppe) ha risposto testuali parole:”Non me lo sono mai chiesto, però immagino un funzionamento simile agli elenchi pubblicitari, dove chi paga ha la posizione più alta”.
A questo punto sono passato al secondo step: spiegare la differenza tra i link sponsor e i risultati naturali della ricerca. Dopo aver ultimato la spiegazione Giuseppe mi ha guardato ridendo e mi ha detto:”ma alla fine sono tutti e due risultati paganti, solo che gli inserzionisti pagano direttamente Google, mentre gli altri pagano voi”.
Vista così la cosa effettivamente ha una sua logica, anzi avrebbe più senso utilizzare solo il pay per click e non l’indicizzazione naturale, in modo da avere la sicurezza matematica di comparire nei primi risultati delle ricerche (cosa che non può garantire nessuna attività di seo!)
Viene da chiedersi: ma allora ha senso sprecare energie e risorse in attività di indicizzazione e posizionamento?
La risposta, per fortuna, è certo che ha senso, però una seria attività seo/sem, per avere un suo perché, non deve essere solo rivolta a scalare le serp, ma deve puntare anche a:
- Analizzare le esigenze del target di riferimento e cogliere le varie sfumature ed evoluzioni.
- Migliorare la call to action.
- Migliorare l’usabilità.
- Fidelizzare l’utenza.
Solo in questo caso saremmo riusciti a fornire al nostro cliente un valore aggiunto che non avrebbe potuto ottenere utilizzando solo piattaforme di pay per click.
Questo processo per realizzarsi però sottende una duplice presa di coscienza: da una parte l’agenzia seo/sem non deve puntare a vendere fumo negli occhi ma deve impegnarsi seriamente per migliorare la qualità del sito, dall’altra parte i clienti devono acquisire la consapevolezza che un’azione di visibilità e di marketing volta migliorare le performance di un progetto web può richiedere stravolgimenti della struttura esistente e/o modifiche grafiche e di contenuto delle pagine online.
Email marketing: come premiare la fedeltà degli utenti
La mia esperienza con il direct marketing digitale mi insegna che la raccolta di dati personali e indirizzi email diventa sempre più difficoltosa per le aziende, date le conseguenze dello spam sui malcapitati utenti che non posso certo biasimare. Alla luce di questo scenario poco incoraggiante per chi si occupa di email marketing, ho cercato di analizzare i fattori che possono motivare gli utenti a condividere i propri dati personali, autorizzando l’invio di informazioni, offerte e messaggi promozionali di varia natura da parte di un sito di loro interesse.
Certamente tra gli elementi che rassicurano gli utenti posso citare l’affidabilità del brand che riduce i sospetti verso il sito mentre tra i fattori che incentivano i visitatori potrei menzionare il forte interesse verso prodotti e servizi offerti e il desiderio di essere informati sulle ultime novità. A questo punto però gli utenti più scaltri si chiederanno se sia veramente necessario rinunciare, in parte, alle propria privacy per ricevere notizie aggiornate da parte delle aziende, visto che forse sarebbero sufficienti visite saltuarie al sito per placare la propria curiosità.
Ipotizziamo invece che il sito di nostro interesse ripagasse la nostra fiducia trattandoci come clienti privilegiati che meritano condizioni di acquisto particolari come sconti, prodotti esclusivi, articoli in omaggio, accesso ad informazioni inedite come l’inizio anticipato di un periodo di saldi, ecc. ecc.
Non sono forse questi gli incentivi che ci spingono a compilare noiosissimi moduli per la richiesta delle note “fidelity card” nei negozi?
Da notare che tra l’altro lo strumento email si presta bene, non solo strategicamente ma anche operativamente, alla fidelizzazione dell’utente: è sufficiente includere nel messaggio email, che propone offerte privilegiate, un codice che l’utente dovrà semplicemente digitare al momento dell’acquisto. L’inserimento di tale codice sarà poi uno strumento prezioso per tracciare i risultati della campagna e le conversioni generate.
Operando nell’ambito di siti ecommerce di carattere gastronomico negli Stati Uniti ho verificato un aumento notevole delle vendite legato all’offerta privilegiata di vini novelli, piccoli omaggi e prodotti scontati per i soli utenti iscritti così premiati per la loro fedeltà!
Shopping e pay per click
Visto che la mia “collega” ha introdotto il tema del comparison shopping, ho deciso di parlare della mia personale esperienza in questo campo.
Un anno fa ho seguito da vicino la realizzazione di un sito di shopping ed in particolare le tematiche relative al posizionamento ed al keyword advertising. Contrariamente alla maggior parte dei siti web, che hanno come obbiettivo quello di posizionarsi e di promuoversi in determinate aree, l’attività di promozione e visibilità di questo genere di siti abbraccia numerosi settori.
Immaginate di dover curare una campagna pay per click per ebay, avete idea su quante parole dovreste investire? Oltre alle keyword generali, e a dire il vero di poca presa, come “acquisti online”, “shopping online” ecc. Si deve puntare su tutti i settori ai quali appartengono i prodotti venduti ed in particolare sul nome delle case produttrici e sul singolo modello(es:telefonini nokia, nokia 3310 ecc).
Vi assicuro che monitorare la performance di migliaia di keyword e decidere quali eliminare è davvero arduo, anche perchè oltre al ROI entrano in gioco anche altri fattori, tra i quali: la necessità di essere presenti e competitivi in aree presidiati dai competitor, logiche di branding e acquisizione di nuovi, potenziali, clienti.
In quest’ottica, dato il numero elevato di keyword ed i diversi obbiettivi che si vogliono raggiungere, si tende, almeno nella fase iniziale, a mantenere il bid sulla singola parola il più basso possibile. L’unico network che si adeguava bene a questa esigenza, a differenza degli altri circuiti(Overture e Miva), era Google adwords, che all’epoca aveva un bid minimo di 0.05.
Oggi ho letto della diminuzione del costo per click di partenza anche su Overture (da 0.15 a 0.05), mi aspetto pertanto, come diretta conseguenza, un esponenziale aumento su questo circuito degli investimenti da parte dei maggiori siti di e-shopping.